La Cupola fra le Torri

Parrocchia dei Santi Bartolomeo e Gaetano, Bologna

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XXIX DOMENICA T.O.

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XXIX DOMENICA T.O.

20 ottobre 2019

Es 17,8-13, dal Sal 120, 2Tm 3,14 - 4,2, Lc 18,1-8

Dio farà giustizia ai suoi eletti che gridano verso di lui.

C’è quella frase a conclusione del brano che arriva apparentemente improvvisa nel contesto, e che è di certo una delle più impressionanti del Vangelo: "Ma il Figlio dell'uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?".

Per capire meglio, bisogna che risaliamo di qualche paragrafo nel vangelo di Luca.

Gesù era assillato dalle domande dei farisei e forse anche dei suoi discepoli su quando verrà il Regno di Dio, su quando sarà la fine.

Gesù sembra dire che quello della fine è solo uno dei tanti punti della storia dell'uomo e anche della storia di ciascuno di noi.

Dunque non è importante solo il momento della fine, ma tutto il percorso che compiamo sulla terra è prezioso e costruisce il Regno di Dio.

Non preoccupatevi, sembra dire, di quando verrà il Signore, ma di come vi troverà: il problema del “quando” riguarda un punto futuro, ma il problema del “come” riguarda tutto, riguarda il presente, riguarda noi qui e ora, riguarda la qualità della nostra vita e della nostra testimonianza di credenti.

Non è da oggi che si parla di nuova evangelizzazione, di missionarietà. (continua a leggere)

 


 

Ricordo bene, proprio negli anni in cui pensavo di entrare in seminario, una nota pastorale dell’allora arcivescovo Cardinal Biffi dedicata appunto alla nuova evangelizzazione: cominciava cosi: “Guai a me”, dalle parole di San Paolo «Guai a me se non annuncio il vangelo». Biffi citava proprio il versetto del vangelo di oggi e lo definiva uno dei inquietanti di tutta la Scrittura: «Quando il Figlio dell’uomo verrà, troverà la fede sulla terra?».

Se da una parte abbiamo la certezza che Cristo non abbandonerà mai la sua Chiesa, perché è fedele colui che ha promesso, non abbiamo nessuna sicurezza tranquillizzante per quello che riguarda ci riguarda come persone e come comunità.

«Se ha formulato questa domanda - scriveva il Cardinale - e l’ha enigmaticamente lasciata senza risposta, penso che sia per indurci a meditare sul problema della sopravvivenza della

fede nella nostra terra e per spronarci a dare tutto il nostro impegno perché sia risolto positivamente».

«La domanda evangelica - diceva - potrebbe essere precisata cosi: il Signore, quando verrà, troverà ancora la fede, la vita cristiana, la comunità ecclesiale qui, nella nostra regione, nella nostra città, nel nostro quartiere, in mezzo al nostro popolo?

In questo caso di assicurazioni tranquillizzanti non ne abbiamo più: tutto dipende dalla nostra capacità di mantenere vitale la nostra concreta famiglia di credenti, con lo slancio missionario della nostra fede e l'incisività coraggiosa della nostra testimonianza»

La connessione con il tema della preghiera è molto importante, proprio come quello del rendimento di grazie sul quale abbiamo riflettuto domenica scorsa: rendere grazie, dicevamo, significa confessare che non bastiamo a noi stessi, che la nostra vita dipende da Dio.

Anche la preghiera ha esattamente questo significato: è gridare al cielo la nostra insufficienza e il nostro bisogno.

Noi però siamo cristiani, e perciò dobbiamo pregare come cristiani. Il cristiano è colui che crede che Gesù è il Figlio stesso di Dio venuto fra di noi.

Perciò il cristiano sa che il vero orante è Gesù, che la sua preghiera è Gesù. Ogni preghiera parte da Gesù; è lui che prega in noi, con noi, per noi.

Tutti coloro che credono in Dio, pregano; ma il cristiano prega in Gesù Cristo: Cristo è la nostra preghiera!

La prima lettura ci ha descritto la scena di Mosè che, sul monte, con le sue braccia alzate nella supplica diventava garanzia di vittoria per il suo popolo.

Mentre Giosuè e i suoi uomini affrontavano sul campo gli avversari, Mosè stava sulla cima della collina con le mani alzate, nella posizione della persona in preghiera.

Queste mani alzate del grande condottiero garantirono la vittoria di Israele.

Dio era con il suo popolo, ne voleva la vittoria, ma condizionava questo suo intervento alle mani alzate di Mosè.

Sembra incredibile, ma è così: Dio ha bisogno delle mani alzate del suo servo!

Le braccia levate di Mosè fanno pensare a quelle di Gesù sulla croce, come contempliamo nella amorosa immagine del Señor de los Milagros, che oggi porteremo in processione:

braccia spalancate ed inchiodate con cui il Redentore ha vinto la battaglia decisiva contro il nemico infernale.

Anche oggi sul monte della sua gloria, le sue mani alzate verso il Padre e spalancate sul mondo chiedono altre braccia, altri cuori che continuino ad offrirsi con il suo stesso amore, fino alla fine del mondo.

Pregare da cristiani vuol dire riconoscere che, come Cristo ha toccato il vertice della sua preghiera nel sacrificio offerto sulla croce, così anche per noi il momento culminante e irrinunciabile della preghiera è la partecipazione al sacrificio dí Cristo che si ripresenta e si rinnova nella Messa.

Più che un obbligo allora, pregare è dunque un inaudito privilegio, una concessione incredibile a noi che siamo polvere e cenere, ma che nel battesimo siamo stati costituiti figli e possiamo

un’unirci alla preghiera di Cristo.

"Pregare sempre senza stancarsi", dunque non significa dunque recitare lunghissime orazioni, ma non perdere il grande desiderio di Dio e del suo amore.

Per questo abbiamo bisogno di tempi e spazi di preghiera. Per questo, abbiamo bisogno di qualche istante di preghiera al mattino e alla sera, perché tutto ciò che viviamo sia

vissuto nel desiderio di Dio.

Per questo abbiamo bisogno che la domenica sia un giorno diverso, giorno di una celebrazione della Messa dignitosa e non affrettata, alla quale arrivare puntali e preparati.

Per questo, dobbiamo avere rispetto della chiesa edificio, custodirne il silenzio, prima, durante e dopo le celebrazioni, preservarne la bellezza, il decoro e la pulizia.

Per questo abbiamo bisogno anche di gesti esteriori ma che riserviamo esclusivamente al rapporto con Dio: come fare il segno della croce, mettersi in ginocchio, tenere le mani giunte o sollevate.

Per questo abbiamo bisogno che nelle nostre case, nelle scuole, negli ospedali, nei luoghi di lavoro - dove è possibile -sia presente e onorato il Crocifisso, colui che non fa male a nessuno e supplica ogni giorno il miracolo della salvezza per il mondo intero.

La preghiera è l’arma dei piccoli e dei poveri di spirito, di quelli che sono impotenti di fronte all’ingiustizia, proprio come la povera vedova della parabola.

Proprio quando non possiamo contare su nient’altro se non sulla preghiera, la nostra fede sarà limpida e pura, e il Figlio dell’uomo, tornando, troverà questa fede sulla terra.

(omelia di don Andrea Caniato)

 

Ultimo aggiornamento Giovedì 24 Ottobre 2019 17:30  

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