La Cupola fra le Torri

Parrocchia dei Santi Bartolomeo e Gaetano, Bologna

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III DOMENICA DI AVVENTO

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III DOMENICA DI AVVENTO

15 Dicembre 2019

Is 35,1-6a. 8a. 10, Dal Sal 145 (146), Gc 5,7-10, Mt 11,2-11

Sei tu colui che deve venire o dobbiamo aspettare un altro?

"Rallegratevi nel Signore sempre. Il Signore è vicino." (Fil 4, 4). Con queste parole di san Paolo si apre la Messa della III Domenica di Avvento. L'Apostolo esorta i cristiani a essere nella gioia perché la venuta del Signore, cioè il suo ritorno glorioso, è sicuro e non tarderà.

La Chiesa fa proprio questo invito, mentre si prepara a celebrare il Natale e il suo sguardo si dirige sempre più verso Betlemme. Ma come mostra la pagina evangelica, la gioia cristiana è una gioia provata dal dubbio, dalla delusione, dalla sofferenza.  (continua a leggere)

Giovanni Battista, il più grande tra i nati di donna, cioé il meglio che l’umanità abbia da offrire - ed è Gesù stesso che lo dice - sta in carcere e, per la sua fede, corre il rischio concreto di essere condannato a morte. Dalla terribile fortezza di Macheronte, manda i discepoli a chiedere al Signore: vuole essere sicuro di non essersi illuso a dedicargli la vita.

 

Oggi noi non sopportiamo più l’idea di avere dei dubbi, di dover affrontare delle delusioni. Per esempio nell’amore. La storia anche di tanti fallimenti matrimoniali testimonia che spesso un dubbio o una discussione che può sorgere, vengono visti come spie di un problema, e non invece come l’occasione per crescere insieme.

Abbiamo questa curiosa pretesa che se c’é l’amore non ci devono essere problemi e se per caso ci sono problemi, allora l’amore non è sincero. Vale per l’amore, ma vale anche per il cammino di fede. La vita di un cristiano è uguale alla vita del non credente. Con le sue poche gioie e consolazioni, e con i suoi tanti problemi.

Non è che perché uno è cristiano gli vengono risparmiate le sofferenze, i dubbi, le difficoltà. La fede non è un parafulmine contro i guai e neppure l'assicurazione della felicità in questo mondo. Il dubbio nella prova, vissuto dal Battista, ci spinge a riflettere su tanti momenti difficili che incontriamo nel nostro percorso di fede.

Cosa avremmo risposto noi a Giovanni? Cosa avremmo mandato a dire a uno a cui stava per essere tagliata la testa? Vedrai che te la caverai…? Prova a ragionare con Erode…? Non ti arroccare sulle tue posizioni…? cercate di venirvi incontro…?

Nella Bibbia ci sono quelle persone insopportabili, chiamate talvolta “profeti di sventura”, perché dicono le cose come stanno e Giovanni proprio è uno di loro. Oggi ce l’abbiamo tanto coi “profeti di sventura”, ma nella Bibbia i profeti di sventura, sono proprio quelli mandati da Dio…

A noi piace molto ascoltare la voce tranquillizzante di falsi profeti che annunciano tempi di tranquillità, senza lotta; tempi di una pace che in realtà è una grande anestesia, tempi di approvazione generale e di lodi da parte della cultura mondana.

I falsi profeti hanno sempre una spiegazione tranquillizzante per tutto, ma in realtà finiscono per soffocare in noi le ragioni di una vera speranza. Vengono chiamati profeti, ma in realtà dicono quello che dicono tutti, cantano nel grande coro del politicamente corretto e, guarda caso, non parlano mai di Gesù Cristo.

Prendono la parola su tutto, dalla politica al costume, dall’ambiente alla giustizia sociale, si appellano all’etica, ma curiosamente non parlano mai - come per esempio faceva Giovanni - della santità del matrimonio.

Non parlano mai di Gesù Cristo, o se ne parlano, ne parlano come di uno fra i tanti, il cui insegnamento va letto dentro il suo tempo, che è diverso dal nostro… dentro la sua mentalità, che è diversa dalla nostra… dentro la sua epoca, che è diversa dalla nostra…

Insomma di un Cristo che è passato, che è morto. Gli vogliamo bene, ma è passato, è morto. E tutto appare immediatamento nuovo e pacifico. Possiamo tornare parlare di pace e amore e sposare il diavolo con l’acqua santa, il bene col male, la Chiesa con il mondo. Ma alla fine restiamo soli, con i nostri turbamenti e le nostre paure.

Restiamo soli fino a quando non incontriamo davvero Gesù, che non è un personaggio del passato, uno fra i tanti, ma è il Signore, lui che solo può vincere questa storia umana che è storia di dolori e di colpe.

Ed è proprio quello che Gesù manda a dire a Giovanni: «Beato è colui che non trova in me motivo di scandalo!». Beato chi non vede in me un inciampo, ma la sua forza; chi non vede un ostacolo, ma la sua speranza, la sua guarigione, la liberazione, il riscatto, il perdono…

Ecco che cosa è la fede: la grazia di riconoscere che nonostante tutti i segni apparentemente contrari, Dio è realmente presente, non per dirci che va tutto bene, ma per vincere il male con il dono di sé, con la forza della sua santità. La gioia del Natale, dunque, non è una gioia a buon mercato. Non è una parentesi sorridente in mezzo sofferenze e le difficoltà della vita.

La Liturgia propone anche un passo della Lettera di san Giacomo, che si apre con questa esortazione: «Siate costanti, fratelli miei, fino alla venuta del Signore». Oggi non va molto di moda parlare della costanza o della pazienza: sembrano parole vecchie, parole da nonni brontoloni.

Il mondo oggi esalta, piuttosto, il cambiamento e la capacità di adattarsi a sempre nuove e diverse situazioni.

Senza nulla togliere a queste qualità che in realtà hanno la loro importanza, l’Avvento ci chiama a lavorare sulla tenacia interiore, quella resistenza dell’animo che ci permette di non disperare nell’attesa di un bene che tarda a venire, ma di aspettarlo, anzi, di prepararne la venuta con fiducia operosa.

«Guardate l’agricoltore – dice ancora san Giacomo –: egli aspetta con costanza il prezioso frutto della terra finché abbia ricevuto le prime e le ultime piogge. Siate costanti anche voi, rinfrancate i vostri cuori, perché la venuta del Signore è vicina»

Il paragone con il contadino è prezioso: chi ha seminato nel campo, ha davanti a sé alcuni mesi di paziente e costante attesa, ma sa che il seme nel frattempo compie il suo ciclo, grazie alle piogge di autunno e di primavera.

Il contadino non è un fatalista, ma è modello di una mentalità che unisce in modo equilibrato la fede e la ragione: da una parte, conosce le leggi della natura e compie bene il suo lavoro (ragione), e, dall’altra, confida nella Provvidenza, perché alcune cose fondamentali non sono nelle sue mani, ma nelle mani di Dio (fede).

La pazienza e la costanza di cui parla l’apostolo, sono il contrario dell’immobilismo: ma dentro a una vita che ci sollecita continuamente sono proprio la sintesi tra l’impegno che tocca all’uomo e il continuo affidamento a Dio.

Come fare, allora per rendere più forti i nostri cuori, già di per sé piuttosto fragili, e resi ancora più instabili dalla cultura in cui siamo immersi? L’aiuto non ci manca: la preghiera, l’ascolto della Parola di Dio, l’incontro rinnovato con la grazia divina nei santi sacramenti. Infatti, mentre tutto passa e tutto muta, la Parola del Signore non passerà in eterno.

Se le vicende della vita ci fanno sentire smarriti e ogni certezza sembra crollare, abbiamo una bussola per trovare l’orientamento, abbiamo un’ancora per non andare alla deriva. Rallegratevi, dunque, perché il Signore è vicino!

Gesù non manda a Giovanni un messaggio pieno di emoticons, non gli racconta di un mondo bello che non esiste. Ma gli annuncia che Dio è vicino: nonostante tante apparenze contrarie è già iniziata la guarigione, il riscatto, la risurrezione, la vita.

Dio è vicino, è con me, è con noi, nella gioia e nel dolore, nella salute e nella malattia: sono le parole nuziali dell’amore, l’amore di un Dio che si è legato a noi in eterno.

(omelia di don Andrea Caniato)

 

Ultimo aggiornamento Martedì 24 Dicembre 2019 11:30  

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