XXV DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO
19 Settembre 2021
Sap 2,12.17-20, dal Salmo 53, Gc 3,16-4,3, Mc 9,30-37
Il Figlio dell'uomo viene consegnato... Se uno vuole essere il primo, sia il servitore di tutti.
Non ci sono ancora i bambini del catechismo a cui poter fare una domanda. Mi auguro che possano tornare presto, almeno con la ripresa del catechismo fra poche settimane ormai.
Mi permetto di iniziare chiedendo se tra i presenti c'è qualcuno che ricorda che cosa Gesù ci ha detto domenica scorsa, e vi assicuro che non è una domanda difficile, non è una domanda trabocchetto, è molto semplice.
Cosa ci ha detto Gesù domenica scorsa? Esattamente quello che ci dice oggi, perché, e lo vado a leggere, “cominciò a insegnare loro che il figlio dell'uomo doveva soffrire molto ed essere rifiutato dagli anziani, dai capi dei sacerdoti, dagli scribi, venire ucciso e dopo tre giorni risorgere". (continua a leggere-scarica pdf)
Così domenica scorsa e oggi insegna ai suoi discepoli, dicendo loro: "il figlio dell'uomo viene consegnato nelle mani degli uomini e lo uccideranno, ma una volta ucciso dopo tre giorni risorgerà".
Per la seconda volta Gesù fa lo stesso discorso ai discepoli, annunciando la sua morte e risurrezione.
E lo farà ancora, in qualche modo possiamo dire che è sempre e solo questo il discorso che ci rivolge Gesù soprattutto la domenica, perché questo è il cuore di tutto il Vangelo, anzi di tutta l'opera di Gesù: la sua passione, morte e risurrezione.
È interessante che Gesù lo ripeta. In fondo è per questo che anche la Chiesa ci invita a ritornare a Messa tutte le domeniche, perché pur sapendo già queste cose abbiamo bisogno di riascoltarle, di farle nostre, di farle diventare la norma della nostra vita di ogni giorno. Perché è solo così, se vogliamo vivere dobbiamo morire, non solo nel senso fisico, perché anche la parte migliore della vita, la vita eterna, è dopo, ma soprattutto nella dimensione spirituale, che è la più vera. Se noi vogliamo realizzare la nostra vita, non dobbiamo tenerla per noi, dobbiamo donarla, è soltanto donando la propria vita che si valorizza, è soltanto morendo che viviamo davvero.
Questo in fondo è l'unico discorso.
Ed è ancora interessante notare l'atteggiamento dei discepoli. Mentre Gesù parla di queste cose, loro stanno pensando a tutt'altro: "quando giunsero a Cafarnao e furono in casa chiese loro: di che cosa stavate discutendo per la strada?” Ed essi tacevano, perché non ascoltavano il Signore, ma litigavano fra di loro. Essi tacevano, per le strade infatti avevano discusso fra di loro chi fosse il più grande.
In fondo questo ci consola, perché ci fa capire che siamo in buona compagnia: come facevano i discepoli, facciamo anche noi. Veniamo a Messa, ma continuiamo a pensare ai nostri problemi, ai nostri progetti, a chi è più grande, a chi ha fatto meglio, ed è bello vedere Gesù che non si arrabbia, non li sgrida, ma sedutosi chiamò i 12 e con questo gesto di grande calma, invitandoli a sedere, perché si parla meglio quando ci si siede, disse loro: "se uno vuole essere il primo sia l'ultimo di tutti e il servitore di tutti", che è esattamente la stessa cosa. Se uno vuole essere il primo, se vuole che la sua vita sia bella, doni la sua vita nel servizio, sia il servitore di tutti.
Questo è proprio vero. È l'unico modo di vivere, perché se uno vuole essere il primo e vuole che gli altri lo servano, vuol dire che è un incapace, vuol dire che è ancora un bambino, che ha bisogno che gli altri gli facciano tutto.
Chi davvero è grande è capace di servire, di aiutare gli altri, di costruire per gli altri. Questo vale sempre e dappertutto nella Chiesa, ma anche nella società. Quanti grandi di questo mondo, quante grandi potenze sono forti, ma per distruggere, per rovinare pensando che sia con le armi o arricchendo solo noi stessi che si possa vivere.
No! Rovina la propria vita e quella degli altri ed è solo diventando servitori che la nostra vita diventa grande e bella.
Vorrei anzitutto applicarle a me, perché sia l’ideale della mia vita, perché essere prete vuol dire essere ministro, cioè servitore di tutti.
Per questo mi piace ricordare mons. Gherardi, il parroco che mi ha preceduto. Domani ricorre l'anniversario della sua morte, 22 anni fa nel 1999, e ricordare anche un altro sacerdote che spero impariate a conoscere bene, don Giovanni Fornasini che domenica prossima sarà proclamato beato. È uno dei sacerdoti di Monte Sole, compagno di classe di mons. Gherardi, diventati sacerdoti insieme il 28 giugno 1942.
Don Giovanni è morto il 13 ottobre del ’44, era stato ordinato prete soltanto due anni prima, era ancora giovanissimo, 29 anni, e ha dato tutta la sua vita per i suoi parrocchiani. In quella situazione così drammatica delle fasi terribili della Seconda guerra mondiale, la sua parrocchia si trovava sulla linea gotica, non si è mai tirato indietro e con tutta probabilitàà la ragione della sua morte è stata proprio la sua presenza accanto ai suoi parrocchiani: ostacolava le truppe, le SS, in particolare quando dopo la strage di Marzabotto fecero un festino a cui invitarono le ragazze del luogo e Don Giovanni andò a questa festa per difenderle. Certo questo non era gradito a chi pensava di poter fare tutto.
È una figura straordinaria di ministro, che certo ha perso la sua vita, ma per questo è grande e la Chiesa lo riconosce come martire e beato.
Invito anche voi a partecipare alla sua beatificazione domenica prossima alle ore 16 in San Petronio.
Vogliamo imparare a essere anche noi oggi i primi, perché capaci di donare la nostra vita al servizio di Dio e dei fratelli.
(dall'omelia di don Stefano Ottani)
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