Guida breve della Basilica dei Santi Bartolomeo e Gaetano
Storia
La tradizione parla di una chiesa dedicata all’apostolo S. Bartolomeo già nel V secolo, eretta da S. Petronio. È documentata una chiesa in epoca longobarda (IX secolo), con la facciata su piazza di Porta Ravegnana, forse successivamente retta dai monaci Cluniacensi di Fruttuaria. Nel 1210 un incendio della città la distrusse e venne ricostruita a spese del Comune. Nel 1516 la famiglia Gozzadini, emergente in città, affidò ad Andrea Marchesi detto il Formigine il progetto di un grande palazzo a fianco della chiesa. Purtroppo, a causa dell’uccisione nel 1517 di Giovanni di Bernardino Gozzadini, il progetto rimase interrotto alla realizzazione del solo portico che oggi ammiriamo.
Nel 1599 i Padri Teatini, fondati da S. Gaetano Thiene (1480-1547) subentrarono nella reggenza della chiesa e iniziarono una totale ristrutturazione del complesso su disegno di Giovanni Battista Natali detto il Falzetta, riveduto dall’architetto del Senato bolognese Agostino Barelli, con un forte ampliamento ed un nuovo orientamento della chiesa che si affacciò su Strada Maggiore. Poiché nel 1671 era stato canonizzato S. Gaetano, i Padri Teatini concepirono questa chiesa come occasione per far conoscere il loro fondatore e fecero dipingere ad affresco da Marcantonio Franceschini
(1648-1727) e Luigi Quaini (1643-1717) dieci “fatti” della vita di S. Gaetano nelle lunette del portico (ora poco leggibili). Sul lato delle torri venne preservato il nobile portale quattrocentesco, dominato dalla statua di S. Bartolomeo. Nel 1694 si completarono la cupola e il campanile, la cui caratteristica cuspide venne aggiunta mezzo secolo dopo.
Architettura
La chiesa a croce latina, a tre navate su snelle colonne ioniche che ne evidenziano lo slancio, si presenta luminosissima, grazie alle finestre della navata centrale ed alle cupolette con lanterne sulle volte delle campate laterali. All’incrocio dei bracci la grande cupola circolare si innalza aerea tra le torri, nuovo simbolo della città barocca. Dalla prima iconografia della città dipinta da Giuseppe Rolli all’interno della stessa cupola la basilica è presente in ogni raffigurazione grafica o pittorica di Bologna.
È una basilica che esprime l’anima, ad un tempo classica ed eloquente, del barocco in una rara sintesi, fondendo l’apporto interdisciplinare delle arti in un insieme singolarmente equilibrato ed ospitale. Un barocco bolognese, generoso ed autocritico che, pur offrendo all’ammirazione dei visitatori molte opere d’arte, si qualifica soprattutto per la sua armonia complessiva e per la sua calda e morbida tonalità. È una scoperta gioiosa, su cui incidono le ore del giorno. Si direbbe che l’architettura basilicale si difenda dalla luce dilagante filtrandola attraverso le cupole e le lanterne. L’atmosfera più congeniale è quella di un tardo pomeriggio di sole, quando le pareti affrescate si scaldano e gli ori delle trabeazioni risplendono e le tele sugli altari si animano. La pala d’altare che più reagisce a questa irruzione del sole vespertino è “L’Annunciazione” dell’Albani: il raggio obliquo che scende dal primo finestrone della volta centrale fa ridere i putti alati di scorta a Gabriele che reca l’annunzio a Maria. Tutto è vissuto come in una scenografia poliedrica che concede sempre allo sguardo un riposo visivo. L’occhio penetra incessantemente in ogni spazio prospettico e approda a una quiete finale.
Bologna è una città a tre navate; la basilica ne riflette la tipologia: la navata centrale corrisponde alla strada e le navate minori ai portici. Chi entra ha la sensazione che il discorso continui, con la straordinaria finezza decorativa degli affreschi dei migliori rappresentanti dell’illusionismo (effetto artistico diretto a suscitare nello spettatore l’impressione di trovarsi a contatto diretto con la realtà e non con una raffigurazione) del ‘600 e ‘700.
Arte e spiritualità
La volta della navata centrale presenta storie della vita di S. Gaetano (dalla controfacciata: visione di S. Gaetano; simbologia della spiritualità di S. Gaetano; la lotta contro l’eresia) entro una quadratura, frutto della collaborazione di Angelo Michele Colonna (1604-1687), Agostino Vitelli (1609-1660) e Giacomo Alberesi (1632-1677).
Nella prima cappella destra troviamo un dipinto di Carlo Castelli (sec. XVII) che rappresenta il teatino beato Giovanni Marinoni. A sinistra: il beato Ludovico Morbioli; a destra: l’immagine di Nuestro Señor de los Milagros; al centro: la Beatissima Virgen del Quinche.
Nella seconda cappella destra la pala d’altare è un dipinto della fase matura di Ludovico Carracci (1555-1619): “S. Carlo Borromeo al sepolcro di Varallo”, dove il tema tipico della controriforma – il mistero della passione, morte e resurrezione di Gesù Cristo – diviene spunto per una delicata riflessione religiosa. Nella stessa cappella è esposto un quadro raffigurante il Sacro Cuore, opera di Ubaldo Gandolfi (1728-1781). Alle pareti sono collocati due dipinti che rappresentano: “L’incredulità dell’apostolo Tommaso” e “L’incontro di Gesù con la Samaritana”.
Nella terza cappella, più che la pala d’altare - che pare opera di Lorenzo Galbieri, rappresentante il teatino S. Andrea Avellino rapito in estasi all’inizio della celebrazione eucaristica - meritano attenzione gli affreschi delle pareti (angeli al bancone che si preparano alla Messa), cupoletta e pennacchi, dipinti dal titolare del giuspatronato, Angelo Michele Colonna (1604-1687).
Nella quarta cappella destra la pala dell’altare rappresenta l’Annunciazione, opera di Francesco Albani (1578-1660), uno dei migliori allievi dei Carracci: in questo dipinto il pittore accorda l’equilibrio armonioso della Vergine con la vibrante irruenza dell’arcangelo al punto di meritarsi il soprannome di "Albani del bell’angelo". Dello stesso autore sono anche i quadri pendenti alle pareti laterali: “Maria che allatta il Bambino” e “Il sogno di S. Giuseppe”. In faccia alla cappella sul contropilastro è posta la tela di Domenico M. Canuti (1625-1684) con due angeli.
La quinta cappella, quella del transetto destro che ha la volta affrescata da Giovanni A. Burrini (1656-1725) e Marcantonio Chiarini (1652-1730) con “La Vergine che mette il Bambino fra le braccia di S. Gaetano”, è dedicata a S. Gaetano e ospita su un elegante altare di scagliola una pregevole tela di Lucio Massari (1569-1633) rappresentante il santo e i simboli della sua spiritualità, ampliata in alto dalla centina settecentesca, opera di Giuseppe Marchesi detto il Sansone (1699-1771).
La cappella in fondo alla navata destra ospita un Crocifisso del XVII secolo sotto il quale c’è un bel quadro della “Beata Vergine addolorata”, di Domenico Pedrini (1728-1800), un tempo attribuito al Tiziano. Alle pareti ci sono due dipinti: “La flagellazione” e “La coronazione di spine”, copie degli originali di Ludovico Carracci posti alla Certosa. Nelle due lunette sono affrescate “La deposizione” e “Le pie donne al sepolcro”.
La grande cupola, le volte della cappella maggiore, dell’abside e del transetto sinistro sono affrescate dai fratelli Antonio (1643-1695) e Giuseppe (1652-1727) Rolli ad illustrare la gloria di S. Gaetano. Al centro della cupola, Cristo e il Padre eterno accolgono la Vergine ai cui piedi si trova S. Gaetano, mentre gli angeli rimuovono un grandioso tendone rosso e dorato per lasciare intravedere il paradiso. Nei pennacchi alla base della cupola compaiono i quattro Padri della Chiesa latina: S. Gregorio Magno, S. Ambrogio, S. Agostino e S. Girolamo.
L’abside – preceduta da un ricco altare in marmi policromi su cui spiccano i mezzi busti di S. Gaetano e S. Andrea Avellino e il tabernacolo sovrastato dal Crocifisso e dal Cristo risorto – contiene tre affreschi dei pittori Marcantonio Franceschini (1648-1727) e Luigi Quaini (1643-1717) raffiguranti tre scene della vita di S. Bartolomeo: al centro “Il martirio di S. Bartolomeo”, a sinistra “S. Bartolomeo predica agli Armeni e distrugge l’idolo”, a destra “S. Bartolomeo libera dal demonio l’ossessa figlia di Polimio re dell’Armenia”.
La cappella in fondo alla navata sinistra è dedicata a S. Giuseppe con una statua policroma del santo, con alle pareti due quadri di Filippo Pedrini (1763-1856) raffiguranti S. Vincenzo e S. Barbara.
La cappella del Santissimo Sacramento, nel transetto sinistro, accoglie la piccola tela ovale della “Madonna del Suffragio”, opera inarrivabile di Guido Reni (1575-1642), donata nel 1663 dal Canonico Matteo Sagaci. Due volte sottratta e due volte restituita (1855-60; 1992) la Vergine Madre e il Bambino addormentato riassumono in uno spazio ristretto tutta l’arte e la fede dell’autore: la divinità e l’umanità non sono mai state così vicine, permeate l’una dell’altra. La pala d’altare raffigura il teatino beato Paolo Burali, mentre gli affreschi monocromi alle pareti mostrano due personaggi biblici: Giuda Maccabeo e Isaia.
Nella quarta cappella sinistra, entro un frontale con i misteri del rosario, di gusto canutiano, c’è una statua seicentesca di legno di cedro della Madonna di Loreto, ispirata a quella della Santa Casa. In questa cappella sono collocate sette piccole statue di gesso policromo di pregevole fattura di Ignoto bolognese del primo Ottocento, rappresentanti “La deposizione”. In faccia alla cappella sul contropilastro è posta una tela di Giuseppe Rolli che rappresenta S. Michele Arcangelo. A fianco, appoggiato ad una colonna, il pulpito realizzato nel 1815 su disegno di Flaminio Minozzi (1735-1817), di gusto neoclassico.
La terza cappella sinistra conserva un dipinto di Antonio Lunghi (1677-1757) raffigurante S. Rita. Sul tabernacolo una piccola scultura lignea di fattura artigianale proveniente dal Brasile di “Nossa Senhora de Nazaré”.
Nella seconda cappella sinistra il dipinto “S. Antonio di Padova e il Bambino” è opera di Alessandro Tiarini (1577-1668). Sotto il dipinto, in una piccola nicchia dorata, è collocato un “Ecce Homo” in terracotta policroma. Le decorazioni sono opera di Alessandro Guardassoni (1819-1888).
La prima cappella è dedicata a S. Luigi Gonzaga, raffigurato nell’attuale tela settecentesca di autore ignoto, qui collocata nel 1919 in sostituzione della tela di Cesare Aretusi (1540-1612) raffigurante S. Bartolomeo, che costituiva probabilmente la pala dell’altare maggiore della chiesa precedente, ora conservata in canonica.
L’armonia del complesso è completata dalla cantoria sulla controfacciata con l’organo a dodici registri, realizzato nel 1644 anche con materiale preesistente, attribuito ad Antonio Dal Corno-Colonna, racchiuso da una cassa lignea finemente decorata.
Adiacenze
Alla basilica sono annessi altri suggestivi ambienti, visitabili solo con guida.
L’attuale battistero, frutto della trasformazione dell’oratorio cinquecentesco, che conserva l’affresco della “Madonna delle Grazie” di Lippo Dalmasio (1355-1410), un tempo addossato alla Torre Garisenda, e una tela di Giuseppe Varotti (1715-1780) “Le tre Marie al sepolcro di Cristo”.
Il campanile, costruito nel 1694 con la cuspide del 1748, ospita l’armonioso concerto di quattro campane fuse nel 1857 da Clemente Brighenti e l’orologio di Camillo Franchini, datato 1858.
La sacrestia teatina, ampliata nel 1856, accoglie tre tele di Cesare G. Mazzoni (1678-1763) con storie dell’Ordine Teatino; il sobrio mobilio di legno di noce custodisce preziosi paramenti liturgici dal XVI secolo ad oggi. Interessante è anche il mobilio e la quadreria dell’attuale sagrestia, che raccoglie opere di diverse epoche.
La cripta sotto il presbiterio, affrescata nel 1743, con la “Via Crucis” del contemporaneo Giuseppe Parenti. A destra, il sacello custodisce pregevoli statue della Addolorata e di S. Francesco di Paola e una icona del Mandylion.
E' disponibile in parrocchia la nuova guida breve della Basilica dei Santi Bartolomeo e Gaetano: